Abeti, tortricidi e feedback

Tree ring records show that the spruce budworm has been killing spruce and fir trees periodically in North America for at least 400 years. Until this century, no one much cared. The valuable tree for the lumber industry was the white pine. Spruce and fir were considered “weed species.” Eventually, however, the stands of virgin pine were gone, and the lumber industry turned to spruce and fir. Suddenly the budworm was seen as a serious pest.

So, beginning in the 1950s, northern forests were sprayed with DDT to control the spruce budworm. In spite of the spraying, every year there was a budworm resurgence. Annual sprays were continued through the 1950s, 1960s, and 1970s, until DDT was banned. Then the sprays were changed to fenitrothion, acephate, Sevin, and methoxychlor.
Insecticides were no longer thought to be the ultimate answer to the budworm problem, but they were still seen as essential. “Insecticides buy time,” said one forester, “That’s all the forest manager wants; to preserve the trees until the mill is ready for them.”

By 1980, spraying costs were getting unmanageable—the Canadian province of New Brunswick spent $12.5 million on budworm “control” that year. Concerned citizens were objecting to the drenching of the landscape with poisons. And, in spite of the sprays, the budworm was still killing as many as 20 million hectares (50 million acres) of trees per year.

C. S. Holling of the University of British Columbia and Gordon Baskerville of the University of New Brunswick put together a computer model to get a whole-system look at the budworm problem. They discovered that before the spraying began, the budworm had been barely detectable in most years. It was controlled by a number of predators, including birds, a spider, a parasitic wasp, and several diseases. Every few decades, however, there was a budworm outbreak, lasting from six to ten years. Then the budworm population would subside, eventually to explode again.

The budworm preferentially attacks balsam fir, secondarily spruce. Balsam fir is the most competitive tree in the northern forest. Left to its own devices, it would crowd out spruce and birch, and the forest would become a monoculture of nothing but fir. Each budworm outbreak cuts back the fir population, opening the forest for spruce and birch. Eventually fir moves back in.

As the fir population builds up, the probability of an outbreak increases— nonlinearly. The reproductive potential of the budworm increases more than proportionately to the availability of its favorite food supply. The final trigger is two or three warm, dry springs, perfect for the survival of budworm larvae. (If you’re doing event-level analysis, you will blame the outburst on the warm, dry springs.)

The budworm population grows too great for its natural enemies to hold in check—nonlinearly. Over a wide range of conditions, greater budworm populations result in more rapid multiplication of budworm predators. But beyond some point, the predators can multiply no faster. What was a reinforcing relationship—more budworms, faster predator multiplication—becomes a nonrelationship—more budworms, no faster predator multiplication—and the budworms take off, unimpeded.

Now only one thing can stop the outbreak: the insect reducing its own food supply by killing off fir trees. When that finally happens, the budworm population crashes—nonlinearly. The reinforcing loop of budworm reproduction yields dominance to the balancing loop of budworm starvation. Spruce and birch move into the spaces where the firs used to be, and the cycle begins again.

The budworm/spruce/fir system oscillates over decades, but it is ecologically stable within bounds. It can go on forever. The main effect of the budworm is to allow tree species other than fir to persist. But in this case what is ecologically stable is economically unstable. In eastern Canada, the economy is almost completely dependent on the logging industry, which is dependent on a steady supply of fir and spruce.

When industry sprays insecticides, it shifts the whole system to balance uneasily on different points within its nonlinear relationships. It kills off not only the pest, but the  natural enemies of the pest, thereby weakening the feedback loop that normally keeps the budworms in check. It keeps the density of fir high, moving the budworms up their nonlinear reproduction curve to the point at which they’re perpetually on the edge of population explosion.

I dati storici degli anelli degli alberi mostrano che la tortricide ha ucciso pecci e abeti periodicamente in Nord America per almeno 400 anni. Fino a questo secolo [il XX, NdT], nessuno se ne curava molto. L’albero considerato di valore per l’industria del legno era il pino bianco. Il peccio e l’abete venivano considerati “specie infestanti”. Alla fine, comunque, le zone  di pino vergine si esaurirono, e l’industria del legno si rivolse al peccio e all’abete. Improvvisamente la tortricide fu vista come una grave peste.

Così, a partire dagli anni ’50, le foreste settentrionali furono irrorate con DDT per controllare la tortricide. Nonostante ciò, ogni anno si verificava una ripresa degli insetti. Le irrorazioni annuali continuarono per tutti i ’50, i ’60 e i ’70, finché il DDT non fu bandito. Allora si passò al fenitrotione, all’acefato, al Sevin e al metossicloro.

Gli insetticidi non erano più ritenuti la risposta definitiva al problema delle tortricidi, ma venivano ancora visti come essenziali. “Gli insetticidi ci fanno guadagnare tempo,” diceva un guardaboschi, “è tutto quello che vuole chi gestisce una foresta: conservare gli alberi finché la segheria non è pronta.”

Intorno al 1980, i costi di irrorazione stavano diventando ingestibili – la provincia canadese del New Brunswick quell’anno spese 12,5 milioni di dollari per il “controllo” della tortricide. I cittadini preoccupati si opponevano all’inondare il paesaggio con dei veleni. E, nonostante le irrorazioni, la tortricide continuava a uccidere circa 20 milioni di ettari di alberi l’anno.

C. S. Holling dell’Università della Columbia Britannica e Gordon Baskerville dell’università del New Brunswick misero insieme un modello al computer per avere uno sguardo all’intero sistema coinvolto nel problema delle tortricidi. Scoprirono che prima dell’inizio delle irrorazioni, la tortricide era stata a malapena rilevabile per la maggior parte degli anni. Era controllata da una serie di predatori, compresi uccelli, un ragno, una vespa parassita, e diverse malattie. Ogni qualche decennio, comunque, c’era un’esplosione di tortricidi, di durata compresa tra i 6 e i 10 anni. Dopo di che, la popolazione di tortricidi diminuiva, per poi esplodere di nuovo successivamente.

La tortricide attacca preferibilmente l’abete del balsamo, e secondariamente il peccio. L’abete del balsamo è l’albero più competitivo delle foreste settentrionali. Lasciato a se stesso, si moltiplicherebbe tanto da scacciare il peccio e la betulla, e la foresta diventerebbe nient’altro che una monocultura di abeti. Ogni esplosione di tortricidi sfoltisce la popolazione di abeti, aprendo la foresta al peccio e alla betulla. Poi l’abete si ripresenta.

Man mano che la popolazione di abeti cresce, cresce anche la probabilità di un’esplosione delle tortricidi in modo non lineare. Il potenziale riproduttivo della tortricide cresce più che proporzionalmente alla disponibilità di provviste del suo cibo preferito. L’innesco finale è una sequenza di due o tre primavere calde e asciutte, perfette per la sopravvivenza delle larve. (Limitandosi ad un’analisi al livello dei singoli eventi, si darebbe la colpa del focolaio alle primavere calde e asciutte.)

La popolazione della tortricide cresce troppo perché i suoi nemici naturali riescano a tenerla sotto controllo – in modo non lineare. In un’ampia gamma di condizioni, una popolazione più grande di tortricidi ha come risultato una moltiplicazione più rapida dei predatori delle tortricidi. Ma oltre un certo punto, i predatori non possono moltiplicarsi più velocemente.  Quella che era una relazione che si rafforzava – più tortricidi, più veloce la moltiplicazione dei predatori – diventa una non-relazione – più tortricidi, nessuna moltiplicazione più veloce – e le tortricidi prendono il sopravvento, libere da ostacoli.

A questo punto c’è solo una cosa che può fermare l’epidemia: che l’insetto riduca le proprie provviste di cibo facendo strage di abeti. Quando ciò infine succede, la popolazione di tortricidi collassa – in modo non lineare. Il feedback positivo della riproduzione della tortricide cede il controllo al feedback compensativo della mancanza di cibo. Il peccio e la betulla riempiono gli spazi lasciati dagli abeti, e il ciclo ricomincia.

Il sistema tortricide/peccio/abete oscilla su periodi di decenni, ma è ecologicamente stabile all’interno di certi limiti. Può andare avanti all’infinito. L’effetto principale della tortricide è quello di permettere ad altre specie di alberi oltre all’abete di persistere. Ma in questo caso ciò che è ecologicamente stabile è economicamente instabile. Nel Canada orientale, l’economia è quasi completamente dipendente dall’industria del legname, che dipende da una fornitura costante di abete e peccio.

Quando l’industria irrora dei pesticidi, essa sposta l’intero sistema su punti di equilibrio instabile all’interno delle sue relazioni non lineari. Non uccide solo l’animale infestante, ma anche i suoi nemici naturali, in modo tale da indebolire l’anello di feedback che di solito mantiene la tortricide sotto controllo. Mantiene alta la densità dell’abete, spostando la tortricide su per la sua curva non lineare di riproduzione fino al punto in cui è costantemente sul bordo di un’esplosione demografica.

(Donella H. Meadows, Thinking in Systems: A Primer, 2008)


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2 risposte a “Abeti, tortricidi e feedback”

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