Tag: chicago

La nascita del Primo Maggio

Era in agitazione anche un’altra grande fabbrica di Chicago, la McCormick dove si producevano le mietitrici meccaniche e dove la vecchia generazione, quella dei fondatori (il vecchio Cyrus e suo fratello Leander), aveva ceduto la mano nel 1884; ora governava il giovane Cyrus, ben più aggressivo, che cercò subito d’imporre un taglio dei salari del 10-15%, nonostante la fabbrica fosse in condizioni fiorenti: malgrado la crisi dell’inverno 1884-1885, la McCormick realizzava un profitto addirittura del 71% annuo sul capitale versato! Non solo: mentre la maggioranza degli operai cui veniva decurtato il salario era cattolica, la famiglia McCormick donava altri 100.000 dollari al Seminario teologico presbiteriano di Chicago. Dopo questa donazione, uno sciopero scoppiò nella fabbrica della compagnia nel quartiere Pilsen. Come Yerkes e come molti altri padroni statunitensi, il giovane McCormick ricorse non solo alla polizia, ma anche all’agenzia Pinkerton per proteggere i crumiri, fatti affluire allo scopo di far fallire lo sciopero. Nonostante Pinkerton, la proprietà non riuscì a battere gli scioperanti per la riluttanza di O’Donnell, capitano di polizia della zona di Pilsen, un irlandese, a schierarsi contro operai irlandesi (ancora l’intreccio lotta di classe/lotta di etnie). Ma dopo pochi mesi, il 16 febbraio 1886, appena O’Donnell fu trasferito e Bonfield fu promosso ispettore al Quartier generale centrale, McCormick serrò fuori della fabbrica 1.482 operai, molti dei quali erano iscritti ai Knights of Labor. Questa volta la polizia di Chicago aiutò la direzione e 300 uomini stazionarono ai cancelli. Il primo marzo i crumiri entrarono in fabbrica protetti dagli agenti. L’indomani la polizia caricò una pacifica riunione di “chiusi fuori” e ne arrestò molti. Nel frattempo la campagna per le otto ore e per il Primo Maggio s’intensificava in tutti gli Stati Uniti. La base dei Knights of Labor aderiva alle azioni, anche se la direzione andava cauta, come spiegò in una circolare del 13 marzo 1886 il Gran Maestro Lavoratore Terence Vincent Powderly: “Nessun’assemblea dei K of L deve scioperare per le otto ore il Primo Maggio dando l’impressione di obbedire a ordini dal quartier generale perché tali ordini non sono e non saranno dati”: appare qui un atteggiamento tipico dei sindacati americani, quello di pompiere, di ammortizzatore dei conflitti, di spegnitore degli incendi sociali. Dopo la dissoluzione del suo Sacro ordine dei cavalieri del lavoro, nel 1907 Powderly finirà funzionario dell’Ufficio immigrazione. Ma, per quanto la direzione dei K of L facesse da pompiere, la base si mobilitava spontaneamente: i lavoratori fumavano “Tabacco 8-ore”, compravano “Scarpe 8-ore” e cantavano “il canto delle 8-ore”. Il movimento si diffondeva a macchia d’olio. E i timori del padronato crescevano in proporzione: in un servizio da Chicago del 1° maggio 1886, il “New York Times” riferiva che alla vigilia i membri della Camera di commercio locale avevano offerto 2.000 dollari alla guardia nazionale dell’Illinois per comprare una mitragliatrice. Ovunque scoppiavano scioperi: il 9 aprile, a East St. Louis, la polizia aprì il fuoco sugli scioperanti e ne uccise nove. In risposta, gli operai incendiarono più di cento vagoni.

Illustrazione dal libro "Anarchy and Anarchists" di Michael J. Schaak, 1889

Illustrazione dal libro “Anarchy and Anarchists” di Michael J. Schaak, 1889

E il Primo Maggio giunse. Quel giorno, in tutto il paese scioperarono 350.000 operai in 11.562 stabilimenti. Solo a Chicago gli scioperanti furono 40.000 e in 80.000 scesero in piazza sfilando per Michigan Avenue, sottobraccio, guidati da Albert e Lucy Parsons, insieme ai loro figli Albert Jr e Lulu. In 11.000 manifestarono a Detroit, in 25.000 a New York. La giornata si era svolta pacificamente, la partita sembrava vinta: in quel giorno a Chicago, una giornata lavorativa più corta fu concessa a 45.000 operai, senza bisogno che scioperassero. Si calcola che, negli Usa, 180.000 – sui 350.000 scioperanti – ottennero allora le otto ore. Ma alla McCormick… Il 2 maggio 1886 fu un giorno calmo: solo poche manifestazioni. Il 3, August Spies, direttore del giornale “Die Arbeiter Zeitung”, parlò a circa 6.000 legnaioli in sciopero dall’alto di un vagone merci vicino alla fabbrica McCormick: ma molti astanti erano boemi e polacchi e non capivano cosa stesse dicendo. Alle tre e mezza suonò la sirena alla McCormick e circa 200 ascoltatori andarono ai cancelli per aiutare gli operai a dare una strigliata ai crumiri. Subito arrivarono Bonfield e 200 poliziotti che caricarono. Il frastuono attirò ancora più ascoltatori, finché giunse lo stesso Spies, seguito da tutta la folla. Furono accolti dal fuoco della polizia. Almeno quattro manifestanti furono uccisi e parecchi i feriti. Subito fu indetta per l’indomani sera, 4 maggio, ad Haymarket, una manifestazione che fu autorizzata dal sindaco Harrison. Alle otto e mezza di sera del 4 maggio August Spies (che non aveva partecipato all’organizzazione), parlava in piedi su un carretto davanti a 3.000 persone e mandava messaggeri per chiamare Albert Parsons e Samuel Fielden (che non erano stati avvertiti del comizio) perché lo aiutassero a tenere discorsi. Era presente anche il sindaco. Spies e Parsons avevano già parlato e se ne erano andati, quando poco prima delle dieci scoppiò un temporale e la folla si ridusse a circa trecento astanti infradiciati. Allora il sindaco se ne andò e ordinò che i 176 agenti di polizia presenti fossero rimandati a casa o riassegnati all’ordinaria amministrazione. Ma alle dieci e mezza – il sindaco era appena arrivato a casa, Samuel Fielden stava finendo il discorso di chiusura – il capitano Bonfield ordinò ai suoi agenti di sciogliere la manifestazione con la forza e li dispiegò nel nuovo schieramento antiguerriglia. In quel momento una bomba lanciata da una traversa scoppiò tra i poliziotti, ne uccise sei e ne ferì più di cinquanta. La polizia aprì il fuoco. Si scatenò una battaglia. Nessuno ha mai saputo quanti manifestanti furono uccisi. Si sa solo che ne furono feriti 200. Ne si sa chi gettò la bomba. O perché il capitano Bonfield aspettasse che il sindaco fosse andato a letto per caricare. O perché uno degli organizzatori del comizio di Haymarket vivesse da allora in poi con i soldi della polizia e divenisse testimone contro gli anarchici. Fatto sta che era il primo attentato dinamitardo nella storia degli Stati Uniti e che esso avvenne mentre la lotta per le otto ore stava vincendo. La notizia dilagò negli States gonfiandosi a dismisura: a Cincinnati gli strilloni gridavano: “Le bombe degli anarchici nell’Haymarket di Chicago – cento poliziotti uccisi”. Il 5 maggio mattina il sindaco dichiarò “lo stato di guerra” a Chicago. Migliaia di abitazioni furono perquisite senza mandato, centinaia di anarchici arrestati. La polizia dichiarò di aver trovato arsenali di bombe e di armi. Era facile accusare di violenza gli anarchici. Soprattutto quando le polizie – pubblica e privata – non facevano altro che sparare sulla folla. Nel 1877, quando, riferendosi a Chicago, il “New York Times” titolava “La città in mano ai comunisti”, per reprimere lo sciopero, il governo federale aveva mandato in tutta fretta nella Windy City dal Dakota i reparti dell’esercito freschi reduci dalla guerra contro gli indiani che avevano ucciso il generale Custer: pellirossa o operai, sempre nemici. Non stupisce allora che, nella piattaforma anarchica approvata a Pittsburgh nell’ottobre 1883, Albert Parsons avesse declamato: “Con la forza i nostri padri si sono liberati dall’oppressione politica, con la forza i loro figli dovranno liberarsi dalla schiavitù economica. ‘È quindi vostro diritto,’ dice Jefferson, ‘e vostro dovere ricorrere alle armi'”, prima di concludere: “Tremate oppressori del mondo! Poco oltre il vostro sguardo miope già sorge la luce scarlatta del GIORNO DEL GIUDIZIO”. II sottotitolo del pamphlet di Johann Most, “Revolutionare Kriegswissenschaft” (La scienza della guerra rivoluzionaria), suonava: “Manuale d’istruzione per l’uso e la preparazione di nitroglicerina e dinamite, fulmicotone, bombe, miccia, veleni…” Gli anarchici non erano agnelli sacrificali e la stampa aveva buon gioco nello scatenarsi contro di loro. Già il 5 maggio, il “Chicago Tribune” si scagliava contro le “socialistic, atheistic, alchoolic European classes”. Il 15 maggio 1886 il rispettabile “Albany Law Journal” scriveva: “È preoccupante che le vite di uomini buoni e onesti, la sicurezza di donne e bambini innocenti, l’immunità della proprietà debbano essere, anche per una sola ora, in una grande città, alla mercé di pochi miserabili stranieri puzzolenti, capelloni, dagli occhi selvaggi, che mai hanno fatto un’ora di lavoro onesto in vita loro, ma che, resi folli da anni di oppressione e pazzi d’invidia verso i ricchi, pensano di livellare la società e le sue distinzioni con qualche bomba. […] Ci dovrebbe essere una legge […] che permetta alla società di schiacciare questi serpenti appena sporgono la testa, prima che mordano. […] Lo stato delle cose quasi giustifica il ripristino di un comitato di vigilanza e della legge di Lynch [cioè il linciaggio].” Il fatto è che nel caso specifico di Haymarket i ritrovamenti veri di armi furono poca cosa: anni dopo, il capo della polizia di Chicago, il capitano Frederick Ebersold, ammise che la polizia aveva posto deliberatamente armi e bombe nelle sedi degli anarchici. Delle centinaia di arrestati, solo 31 furono accusati e, tra loro, solo undici furono incriminati: due divennero testimoni, uno non fu mai trovato; infine furono processati in otto: August Spies, Louis Lingg, Samuel Fielden, Adolph Fischer, George Engel, Oscar Neebe, Michael Schwab e Albert Parsons. La lista di questi accusati è notevole perché 1) comprende tutti i massimi dirigenti anarchici a Chicago: non erano persone qualunque, erano direttori di giornali, oratori famosi, leader; 2) sette su otto erano stranieri (solo Parsons era statunitense, Fielden era nato in Inghilterra e gli altri erano tutti tedeschi); 3) al momento del lancio della bomba nessuno di loro era presente ad Haymarket, tranne Fielden che stava parlando (e alcuni di loro non ci avevano nemmeno messo piede). La nazione era in preda alla più totale isteria. Le chiese erano scatenate contro questi atei. Il padronato chiedeva una punizione esemplare contro i sovversivi. I vignettisti non facevano che disegnare grandi spade che si abbattevano su mostriciattoli. “Libertà o Morte”, così la didascalia di disegni truculenti: “Libertà (di andartene se le istituzioni della nostra Repubblica non ti aggradano) o (commetti assassini e sarai punito con la) Morte”. L’indicazione più lapidaria venne dal “Chicago Herald” del 22-23 luglio 1886: “Hanno cercato di distruggere la società. La società deve distruggerli”. Nell’arringa finale, il procuratore Juhus Grinnell chiarì il problema in modo inequivocabile: “La legge è sotto processo. L’anarchia è sotto processo. Questi uomini sono stati scelti e incriminati dal Grand Jury perché loro sono i leader. Non sono più colpevoli delle migliaia che li seguono. Gentiluomini della giuria, condannateli, fatene un esempio, impiccateli e avrete salvato le nostre istituzioni, la nostra società”. Il 20 agosto la sentenza: colpevoli tutti gli imputati, sette furono condannati a morte. Oscar Neebe fu condannato a 15 anni. Un movimento di difesa si organizzò su scala mondiale. Manifestazioni si tennero in Francia, Olanda, Russia, Italia, Spagna. Oscar Wilde fece circolare una petizione. William Morris e il giovane Bernard Shaw parlarono in un comizio. Il cancelliere Bismarck proibì tutte le manifestazioni in favore degli accusati di Haymarket. Il parlamento francese telegrafò il 29 ottobre per protestare contro l’imminente esecuzione. Sotto queste pressioni, la condanna a morte di Fielden e Schwab fu commutata in ergastolo. Louis Lingg, che al processo aveva detto: “Vi disprezzo. Disprezzo il vostro ordine, le vostre leggi, la vostra autorità basata sulla forza. Impiccatemi per questo!”, si suicidò in circostanze mai chiarite facendosi saltare la testa con una capsula esplosiva in bocca, mentre era in cella. Gli altri quattro, August Spies, Albert Parsons, George Engel e Adolph Fischer furono impiccati l’11 novembre 1887. Il 13 novembre mezzo milione di persone assistette ai funerali su Milwaukee Avenue costellata di bandiere nere sulle case di polacchi, tedeschi, boemi. Non fu solo l’estremo addio ai “martiri di Haymarket”, come da allora furono chiamati i quattro impiccati, fu il funerale al movimento anarchico negli Stati Uniti. Da allora, la parola “anarchico” sarebbe stata un insulto in America, un termine impronunciabile. I padroni approfittarono dell’atmosfera di caccia alle streghe per licenziare gli operai sindacalizzati, per stilare una lista nera dei dipendenti che non dovevano mai più essere riassunti da nessuno (il blacklisting). Così i Cavalieri del Lavoro entrarono in una fase di declino irreversibile. Al loro posto si espanse l’American Federation of Labor (Afl) guidata dal conservatore e moderato Samuel Gompers. La battaglia per le otto ore subì una battuta d’arresto formidabile, nonostante alcune delle conquiste del Primo Maggio 1886 fossero preservate. La Afl mandò a Parigi un delegato al Congresso intemazionale del lavoro del 14 luglio 1889 (per celebrare il centenario della presa della Bastiglia) perché proponesse il Primo Maggio come festa mondiale del lavoro e in ricordo dei martiri di Haymarket. Da allora il Primo Maggio è festeggiato ovunque come festa del lavoro, tranne che negli Usa (e, dopo Margaret Thatcher, in Inghilterra): lo stesso Adolf Hitler, nel primo anno di potere, lasciò che fosse festeggiato in Germania, il giorno prima di mettere fuori legge tutti i sindacati (2 maggio 1933). Nel 1889 il “Chicago Times” pubblicò un’inchiesta sulla corruzione della polizia cittadina da cui risultava che i capofila dei corrotti erano i capitani Bonfield e Michael J. Schaak (che aveva condotto le perquisizioni delle case degli anarchici) che taglieggiavano bische, saloon e bordelli per assicurarne la protezione, mentre battevano cassa negli ambienti padronali per infiltrare la loro “Squadra rossa” nel movimento operaio (un secolo dopo, nel 1975, si sarebbe scoperto che la “Squadra rossa” di Chicago usava fondi federali per spiare e infiltrare i movimenti di sinistra). Bonfield cercò di far chiudere il “Chicago Times”. Ma lui e Schaak furono costretti alle dimissioni. I buoni borghesi di Chicago (guidati da Field, Armour, Swift e Pullman) elargirono un fondo di 100.000 dollari per i familiari dei poliziotti uccisi ad Haymarket e innalzarono un monumento ai caduti: varie volte deturpata (soprattutto negli anni sessanta), la statua del baffuto poliziotto è stata infine rimossa da Haymarket e posta al sicuro, nell’atrio dell’accademia di polizia, poco distante da lì. I borghesi di Chicago non pensavano solo alla gloria della loro polizia. Avevano preoccupazioni più prosaiche: Marshall Field propose che la Camera di commercio e l’Union League organizzassero una colletta per far sì che il presidio dell’esercito non fosse più tanto lontano da Chicago e che le truppe potessero intervenire subito. Il suo suggerimento fu accolto e le due associazioni comprarono 250 ettari di terra a Highiand, 50 km a nord di Chicago, che offrirono al governo degli Stati Uniti nell’ottobre 1887 perché vi costruisse un forte. Dopo la morte del generale Sheridan, amico intimo di Field e Pullman, in suo onore, il nome fu cambiato in Fort Sheridan, col motto “Essenziale alla libertà dal 1887”. Il forte fu poi connesso alla città da una strada militare, Sheridan Avenue, per permettere alle truppe d’intervenire con la massima celerità in caso di disordini e manifestazioni. Da allora, la quiete dei possidenti fu assicurata. Anzi, molti borghesi trasferirono le loro case lungo la Sheridan Avenue, sulla riva nord del Lago Michigan, quasi si sentissero più sicuri. Ma fu ancora una volta un tedesco a scompigliare questa favola con la sua morale: monumento per i poliziotti, obbrobrio per gli anarchici. Nato in Germania nel 1847, John Peter Altgeld fu portato da piccolo negli Usa. Qui studiò legge e diventò avvocato. Nel 1875 venne a Chicago per esercitare la professione. Con i risparmi si dette al mercato immobiliare fino ad accumulare una fortuna. Cominciò a farsi un nome con il pamphlet “La nostra macchina penale e le sue vittime” (1884), in cui mostrava come la prigione non solo non redimeva i criminali, ma li peggiorava: “La maggior parte degli arrestati […] sono i poveri, gli sfortunati, i giovani, i trascurati” e le vittime dei rigori della legge sono reclutate “tra coloro che stanno combattendo una battaglia ineguale nella lotta per l’esistenza”. Nel 1892 si candidò a governatore dell’Illinois. Vinse e divenne (primo nato all’estero a ottenere questa carica) governatore dello stato in anni cruciali per Chicago: nel 1893 vi fu l’Esposizione universale e nel 1894 vi divampò uno dei più duri scontri sociali della storia degli Stati Uniti. Il 26 giugno 1893 il governatore Altgeld firmò l’atto del perdono per Samuel Fielden, Michael Schwab e Oscar Neebe e gli impiccati. Affermò che il processo era stato ingiusto, che i giurati erano prevenuti e scelti tra chi era già convinto della colpevolezza. Nel suo testo Altgeld scrisse che il giudice Joseph Gary aveva condotto il processo con “maliziosa ferocia”. Non fu tanto il perdono, quanto la motivazione (che riabilitava il ricordo dei “martiri”) a imbestialire l’opinione pubblica di allora. Sobriamente, il “New York Times” lo definì “demente”; altri lo chiamarono “il Nerone dell’ultimo decennio del secolo”. Il “Toledo Blade” disse che il governatore Altgeld “aveva incoraggiato l’anarchia, la rapina e la distruzione della civiltà”. Il “Chicago Tribune” rincarò: “II governatore Altgeld non ha nemmeno una goccia di puro sangue americano nelle sue vene”; gli abitanti della cittadina di Naperville sfilarono in corteo bruciando il suo ritratto. Si parlò perfino di impeachement. Se anche Altgeld non avesse di nuovo preso una posizione scomoda nel 1894 durante lo sciopero Pullman, si capisce perché l’establishment di Chicago ce l’avesse con lui e facesse di tutto per impedirne la rielezione. Altgeld morì a 55 anni di apoplessia cerebrale nel 1902. Una folla di 150,000 persone partecipò al suo funerale. La stessa stampa che lo aveva linciato rimpianse la grande perdita del lungimirante statista. (Marco D’Eramo, “Il maiale e il grattacielo”)