The agricultural life, often referred to as “pastoral” or “rural”, seems a natural world to modern-day city dwellers and suburbanites. A weekend drive in the country is a time for relaxing and “going back to nature.” Yet farming is not na- ture, but rather the largest alteration of Earth’s surface from its natural state that humans have yet achieved. Cities and factories and even suburban mega-malls are still trivial dots on maps compared to the extent of farmland devoted to pastures and crops (more than a third of Earth’s land surface). So when those people in Mesopotamia 11,500 years ago created agriculture, they set humanity on a path that would transform nature.
La vita agricola, spesso definita “pastorale” o “rurale”, si presenta come un mondo naturale per gli abitanti delle moderne città e suburbi. Una gita in campagna nel weekend è vista come un momento di relax e di “ritorno alla natura”. Eppure l’agricoltura non è natura, ma piuttosto la maggiore alterazione della superficie della Terra dal suo stato naturale che gli umani abbiano mai realizzato. Le città e le fabbriche, e persino i giganteschi centri commerciali delle periferie sono ancora puntini insignificanti sulle mappe, in confronto all’estensione di terra arabile destinata al pascolo e alle coltivazioni (più di un terzo della superficie delle terre emerse). Quindi, quando quelle genti in Mesopotamia, 11500 anni fa, inventarono l’agricoltura, misero l’umanità su un cammino che avrebbe modificato la natura.
(William F. Ruddiman, Plows, Plagues and Petroleum – how humans took control of climate, 2005)