Anche se ormai risalente a più di vent’anni fa, l’articolo “The worst mistake in the history of the human race”, pubblicato nel maggio 1987 su Discover, rimane molto interessante, e col senno di poi propedeutico alle opere principali dell’autore Jared Diamond, ovvero “Armi, acciaio e malattie” e “Collasso”. Dato che in Rete, a quanto pare, non si trova tradotto in italiano, ho pensato che fosse buona cosa azzardare un tentativo e renderlo disponibile qui.
Dobbiamo alla scienza alcuni cambiamenti radicali nel modo compiaciuto in cui ci vediamo. L’astronomia ci ha insegnato che la nostra Terra non è il centro dell’universo ma solo uno dei miliardi di corpi celesti. Dalla biologia abbiamo imparato che non siamo stati espressamente creati da Dio ma ci siamo evoluti insieme a milioni di specie. Ora l’archeologia sta demolendo un’altra credenza incrollabile: che la storia umana dell’ultimo milione di anni sia stata una lunga storia di progresso. In particolare, alcune scoperte recenti suggeriscono che l’adozione dell’agricoltura, ritenuta il nostro passo più decisivo verso una vita migliore, fu in molti sensi una catastrofe da cui non ci siamo mai più risollevati. Con l’agricoltura giunsero le gravi disuguaglianze sociali e sessuali, le malattie e il dispotismo, che dannano la nostra esistenza.
Sulle prime, le prove contro quest’interpretazione revisionista sembreranno irrefutabili agli americani del ventesimo secolo. Stiamo molto meglio, in quasi ogni aspetto, degli uomini del Medioevo, che a loro volta stavano meglio dei trogloditi, che a loro volta stavano meglio delle scimmie. Basta contare i vantaggi di cui disponiamo. Godiamo dei cibi più vari e abbondanti, dei migliori strumenti e beni materiali, di vite tra le più lunghe e sane della Storia. La maggior parte di noi sono al sicuro dalla carestia e dai predatori. Otteniamo energia dal petrolio e dalle macchine, non dal nostro sudore. Chi è il neo-luddista tra noi che cambierebbe la propria vita per quella di un contadino medievale, di un uomo delle caverne, o di una scimmia?
Per la maggior parte della nostra Storia il sostentamento ci è giunto dalla caccia e dalla raccolta: cacciavamo animali selvaggi e andavamo in cerca di piante selvatiche. È una vita che i filosofi tradizionalmente hanno considerato brutta, bestiale e breve. Non coltivando cibo e immagazzinandone poco, non c’è (in questa visione) alcuna pausa dalla lotta che ricomincia ogni giorno per cercare cibo selvatico e evitare la fame. La nostra fuga da questa sofferenza fu favorita solo 10.000 anni fa, quando in diverse parti del mondo la gente cominciò ad addomesticare piante e animali. La rivoluzione agricola si diffuse tanto che oggi è universale e sopravvivono solo poche tribù di cacciatori-raccoglitori.
Dalla prospettiva progressivista in cui sono stato cresciuto, chiedere “perché quasi tutti i nostri antenati, cacciatori-raccoglitori, hanno adottato l’agricoltura?” è stupido. Ovviamente l’hanno adottata perché l’agricoltura è un modo efficiente di ottenere più cibo con meno lavoro. Le colture producono molte più tonnellate per ettaro delle radici e delle bacche. Immaginate solo una banda di selvaggi, esausti dalla ricerca di noci o dalla caccia di animali, che improvvisamente si sfamano per la prima volta da un ricco frutteto o da un pascolo pieno di pecore. Quanti millisecondi pensate che ci metterebbero per apprezzare i vantaggi dell’agricoltura?
La fazione progressivista talvolta si spinge tanto avanti da attribuire all’agricoltura il merito della notevole fioritura dell’arte che ha avuto luogo negli ultimi millenni. Dato che i raccolti possono essere immagazzinati, e dato che ci vuole meno tempo a cogliere cibo da un orto che a trovarlo allo stato brado, l’agricoltura ci ha dato il tempo libero che i cacciatori-raccoglitori non ebbero mai. Quindi è stata l’agricoltura che ci ha permesso di costruire il Partenone e di comporre la Messa in Si minore.
Anche se gli argomenti per la visione progressivista sembrano schiaccianti, sono difficili da provare. Come mostrare che le vite delle persone 10.000 anni fa migliorarono quando abbandonarono la caccia e la raccolta per l’agricoltura? Fino a poco tempo fa, gli archeologi dovevano affidarsi a prove indirette, i cui risultati (sorprendentemente) non riuscivano a sostenere la visione progressivista. Ecco un esempio di prova indiretta: davvero i cacciatori-raccoglitori del ventesimo secolo stanno peggio degli agricoltori? Sparsi qua e là per il mondo, diverse dozzine di gruppi di uomini cosiddetti primitivi, come i boscimani del Kalahari, continuano a sostentarsi in quel modo. Si scopre che queste persone hanno un sacco di tempo libero, dormono un bel po’, e lavorano meno duramente dei loro vicini agricoli. Per esempio, il tempo medio destinato ogni settimana ad ottenere cibo è solo da 12 a 19 ore per un gruppo di Boscimani, 14 ore o meno per i nomadi Hadza della Tanzania. Un Boscimano, quando gli fu chiesto perché non aveva imitato le tribù vicine nell’adozione dell’agricoltura, rispose: “Perché dovremmo, quando ci sono così tante noci di mongongo nel mondo?”
Mentre i contadini si concentrano su colture ad alto tasso di carboidrati come riso e patate, il mix di piante e animali selvatici nelle diete dei cacciatori-raccoglitori superstiti fornisce più proteine e un miglior bilancio degli altri nutrienti. In uno studio, la razione di cibo media giornaliera di un Boscimano (in un mese in cui il cibo era abbondante) era di 2140 calorie e 93 grammi di proteine, considerevolmente di più della dose giornaliera raccomandata per gente della loro stazza. È quasi inconcepibile che i Boscimani, che mangiano circa 75 piante selvatiche, possano morire di fame nel modo in cui centinaia di migliaia di contadini irlandesi, e le loro famiglie, morirono durante la carestia della patate del 1845-1852.
Quindi almeno le vite dei cacciatori-raccoglitori superstiti non sono brutte e bestiali, anche se i contadini li hanno confinati in alcune delle peggiori zone del mondo. Ma le moderne società di cacciatori-raccoglitori, che hanno convissuto spalla a spalla con le società agricole per migliaia di anni, non ci dicono tutto sulle condizioni prima della rivoluzione agricola. La visione progressivista in realtà formula delle tesi sul passato remoto: che la vita delle popolazioni primitive migliorò nel passare da raccolta a agricoltura. Gli archeologi possono datare questo cambiamento esaminando le discariche preistoriche e individuando il passaggio tra i resti di piante e animali selvatici e quelli di piante e animali addomesticati.
Come si può dedurre lo stato di salute dei produttori preistorici di rifiuti, e quindi testare direttamente la visione progressivista? A questa domanda è diventato possibile rispondere solo in anni recenti, in parte attraverso le nuove tecniche emergenti della paleopatologia, o studio dei segni delle malattie nei resti di persone antiche.
In alcune situazioni fortunate, il paleopatologo ha quasi lo stesso materiale da studiare di un patologo odierno. Per esempio, gli archeologi nel deserto del Cile hanno trovato mummie ben conservate le cui condizioni mediche al momento della morte si sono potute determinare tramite autopsia. E le feci di Indiani morti da tempo, che vivevano nelle asciutte caverne del Nevada, sono rimaste abbastanza in buone condizione per essere esaminate alla ricerca di anchilostomi e altri vermi parassiti.
Di solito gli unici resti umani disponibili per lo studio sono gli scheletri, ma permettono un numero sorprendente di deduzioni. Per cominciare, uno scheletro rivela il sesso del suo proprietario, il peso, e l’età approssimata. Nei pochi casi in cui ci sono molti scheletri, si possono costruire tabelle di mortalità come quelle che le compagnie assicurative usano per calcolare la durata attesa di vita e il rischio di morte ad ogni data età. I paleopatologi possono anche calcolare i tassi di crescita misurando le ossa di persone di età differente, esaminare i denti alla ricerca di difetti dello smalto (segni di malnutrizione infantile), e riconoscere le cicatrici sulle ossa lasciate da anemia, tubercolosi, lebbra, e molte altre malattie.
Un esempio chiaro di ciò che i paleopatologi hanno imparato dagli scheletri riguarda i cambiamenti storici nell’altezza. Gli scheletri dalla Grecia e dalla Turchia mostrano che l’altezza media dei cacciatori-raccoglitori verso la fine delle ere glaciali era un abbondante metro e 75 cm per gli uomini, un metro e 65 cm per le donne. Con l’adozione dell’agricoltura, l’altezza crollò, e verso il 3000 a.C. aveva raggiunto una quota di soli 160 cm per gli uomini e 152 cm per le donne. Nel periodo classico le altezze crebbero di nuovo molto lentamente, ma i moderni greci e turchi non hanno ancora riacquistato l’altezza media del loro lontani predecessori.
Un altro esempio della paleopatologia all’opera è lo studio degli scheletri indiani dai tumuli funerari nelle valli dei fiumi Illinois e Ohio. A Dickson Mounds, situata presso la confluenza dei fiumi Spoon e Illinois, gli archeologi hanno esumato circa 800 scheletri che dipingono un’immagine dei cambiamenti dello stato di salute che occorsero quando una cultura di cacciatori-raccoglitori diede il via alla coltivazione estensiva di mais intorno al 1150 d.C. Studi condotti da George Armelagos e degli allora suoi colleghi all’università del Massachusetts mostrano che questi primi contadini pagarono un prezzo per il loro nuovo sostentamento. In confronto ai cacciatori raccoglitori che li precedettero, i contadini ebbero un aumento di quasi il 50% in difetti dello smalto dentario, indicatori di malnutrizione, un incremento di quattro volte dell’anemia da carenza di ferro (testimoniata da una condizione delle ossa detta iperostosi porosa), di tre volte nelle lesioni ossee dovute alle malattie infettive in generale, e un aumento delle condizione degenerative della colonna vertebrale, probabilmente segno di una gran quantità di duro lavoro fisico. “L’aspettativa di vita alla nascita nella comunità preagricola era di circa 26 anni,” dice Armelagos, “ma nella comunità agricola era di 19 anni. Perciò questi episodi di stress nutrizionale e di malattie infettive stavano seriamente colpendo la loro capacità di sopravvivere.”
Le prove suggeriscono che gli indiani a Dickson Mounds, come molti altri popoli primitivi, intrapresero l’agricoltura non per scelta ma per necessità, in modo da nutrire il loro numero in costante crescita. “Non penso che la maggior parte dei cacciatori-raccoglitori si fosse messa a coltivare se non avessero dovuto farlo, e quando passarono all’agricoltura barattarono la qualità per la quantità,” dice Mark Cohen dell’Università Statale di New York a Plattsburgh, curatore con Armelagos di uno dei libri seminali sul tema, Paleopatologia alle origini dell’agricoltura. “Quando cominciai per la prima volta a portare avanti questo argomento dieci anni fa, non molte persone concordavano con me. Ora è diventata una rispettabile, benché controversa, parte del dibattito”.
Ci sono almeno tre insiemi di ragioni per spiegare la scoperta che l’agricoltura era negativa per la salute. Primo, i cacciatori-raccoglitori godevano di una dieta varia, mentre i primi contadini ottenevano la maggior parte del cibo da una sola o poche colture ricche di amido. I contadini ottenevano calorie economiche al costo di una nutrizione povera (oggi tre sole piante ad alto contenuto di carboidrati – grano, riso e mais – forniscono il grosso delle calorie consumate dalla specie umana, eppure ciascuna di queste è carente in certe vitamine o aminoacidi essenziali per la vita). In secondo luogo, a causa della dipendenza da un numero limitato di colture, i contadini correvano il rischio della carestia se una di queste veniva meno. Infine, il semplice fatto che l’agricoltura incoraggiava le persone ad aggregarsi insieme in società affollate, molte delle quali ingaggiavano commerci con altre società affollate, portò alla diffusione di parassiti e malattie infettive (alcuni archeologi pensano che fu l’affollamento, più che l’agricoltura, a favorire le malattie, ma questo è problema dell’uovo e della gallina, perché l’affollamento incoraggia l’agricoltura e viceversa). Le epidemie non potevano prendere piede quando le popolazioni erano sparse in piccole bande che si spostavano costantemente. La tubercolosi e la diarrea dovettero attendere il sorgere dell’agricoltura; il morbillo e la peste bubbonica, l’apparizione di grandi città.
Accanto alla malnutrizione, carestia, e malattie epidemiche, la coltivazione contribuì a portare un’altra maledizione sull’umanità: profonde divisioni di classe. I cacciatori-raccoglitori hanno poco o nessun cibo immagazzinato, e nessuna fonte concentrata di cibo, come un frutteto o una mandria di mucche: essi vivono sulla base delle piante e animali selvatici che ottengono ogni giorno. Per cui, non possono esserci re, né classi di parassiti sociali che ingrassano sul cibo sequestrato ad altri. Solo in una popolazione agricola un’élite in buona salute e non produttiva poteva imporsi sulle masse perseguitate dalle malattie. Gli scheletri dalle tombe greche a Micene, risalenti a circa il 1500 a.C., suggeriscono che i reali godevano di una dieta migliore dei cittadini comuni, dato che gli scheletri reali erano da 5 a 7,5 cm più alti e avevano denti migliori (in media, una carie o un dente mancante invece di sei). Tra le mummie cilene del 1000 d.C. circa, l’élite si distingueva non solo dagli ornamenti e dai fermagli d’oro per capelli, ma anche per un tasso quattro volte inferiore di lesioni ossee dovute a malattie.
Contrasti simili nella nutrizione e nella salute persistono tuttora su scala globale. Per la gente in Paesi ricchi come gli USA, suona ridicolo celebrare le virtù della caccia o della raccolta. Ma gli americani sono un’élite, dipendente dal petrolio e dai minerali che devono spesso essere importati da Paesi con salute e nutrizione peggiori. Se uno potesse scegliere tra essere un contadino in Etiopia o un boscimano raccoglitori nel Kalahari, quale sarebbe la scelta migliore, secondo voi?
L’agricoltura potrebbe aver incoraggiato anche l’ineguaglianza tra i sessi. Liberate dalla necessità di trasportare i propri bambini durante la vita nomadica, e sotto pressione per produrre più mani per arare i campi, le donne contadine tendevano ad avere gravidanze più frequenti delle loro controparti tra i cacciatori-raccoglitori – con le conseguenti perdite in salute. Presso le mummie cilene, per esempio, più donne che uomini avevano lesioni ossee da malattie infettive.
Le donne nelle società agricole erano spesso trattate come animali da soma. Nelle comunità agricole odierne della Nuova Guinea vedo spesso le donne vacillare sotto carichi di verdura e legna da ardere, mentre gli uomini camminano a mani vuote. Una volta, durante un’escursione laggiù per studiare degli uccelli, offrii di pagare alcuni abitanti di un villaggio per portare provviste da una pista di atterraggio al mio campo base di montagna. L’oggetto più pesante era un sacco di riso da 50 chili, che legai ad un palo e assegnai ad un gruppo di quattro uomini perché lo portassero a spalla insieme. Quando infine raggiunsi i paesani, gli uomini stavano portando carichi leggeri, mentre una sola, piccola donna, neanche del peso del sacco di riso, era curva sotto di esso, sostenendo il suo peso con una corda intorno alle tempie.
Quanto all’asserzione che l’agricoltura incoraggiò la fioritura dell’arte fornendoci tempo libero, i moderni cacciatori-raccoglitori ne hanno almeno altrettanto dei contadini. Tutto il risalto dato al tempo libero come fattore critico mi pare fuori luogo. I gorilla hanno avuto un ampio tempo libero per costruire il proprio Partenone, se avessero voluto. Mentre gli avanzamenti tecnologici post-agricoli hanno reso possibili nuove forme di arte e più facile la conservazione dell’arte, grandi dipinti e sculture venivano prodotti dai cacciatori-raccoglitori 15.000 anni fa, e venivano ancora prodotte fino al secolo scorso da cacciatori-raccoglitori come alcuni eschimesi o indiani della costa Pacifica nordoccidentale.
Così con l’avvento dell’agricoltura un’élite migliorò la propria condizione, mentre la maggior parte della gente la peggiorò. Invece di bere la versione della fazione progressivista per cui scegliemmo l’agricoltura in quanto per noi positiva, ci dobbiamo chiedere come ci siamo rimasti intrappolati nonostante le sue falle.
Una risposta risiede nell’adagio: “la Storia è scritta dai vincitori”. L’agricoltura poteva sostenere molte più persone che la caccia, anche se con una peggiore qualità della vita. Le densità di popolazione dei cacciatori-raccoglitori raramente superano 1 persona ogni 40 km2, mentre gli agricoltori di media sono 100 volte tanto. In parte, ciò avviene perché un campo coltivato interamente a scopo alimentare permette di sfamare molte più bocche che una foresta con piante commestibili sparse qua e là. In parte, anche, è perché i cacciatori-raccoglitori nomadi devono mantenere le nascite spaziate da intervalli di quattro anni tra loro mediante infanticidio o altri mezzi, dato che una madre deve trasportare suo figlio finché non è abbastanza grande da tenere il passo degli adulti. Dato che le donne contadine non hanno questo fardello, esse possono partorire e spesso partoriscono un figlio ogni due anni.
Quando le densità di popolazione dei cacciatori-raccoglitori crebbero lentamente alla fine delle ere glaciali, le bande dovettero scegliere tra sfamare più bocche intraprendendo i primi passi verso l’agricoltura, oppure trovare un modo per limitare la crescita. Alcune bande scelsero la prima soluzione, non potendo individuare in anticipo i lati negativi dell’agricoltura, e sedotti dalla temporanea abbondanza di cui godettero prima che l’aumento della popolazione raggiungesse l’accresciuta produzione di cibo. Queste bande superarono in numero e quindi scacciarono o uccisero le bande che scelsero di rimanere cacciatori-raccoglitori, perché un centinaio di contadini malnutriti possono comunque avere la meglio su un cacciatore in buona salute. Non è che i cacciatori-raccoglitori abbandonarono il loro stile di vita, ma quelli abbastanza assennati da non abbandonarlo furono scacciati via da tutte le zone, eccetto quelle che non interessavano i contadini.
A questo punto è istruttivo richiamare la continua lamentela che l’archeologia è un lusso, interessata al passato remoto, che non offre lezioni per il presente. Gli archeologi che studiano il sorgere dell’agricoltura hanno ricostruito un passo cruciale in cui abbiamo fatto il peggior sbaglio nella storia umana. Obbligati a scegliere tra limitare la popolazione o cercare di aumentare la produzione di cibo, scegliemmo la seconda via e finimmo con carestia, guerra e tirannia. I cacciatori-raccoglitori hanno praticato il più efficace e duraturo stile di vita nella storia umana. Di contro, noi stiamo ancora lottando con il disordine in cui ci gettato l’agricoltura, e non è chiaro se possiamo risolverlo.
Supponiamo che un archeologo venuto in visita dallo spazio tenti di spiegare la storia umana ai suoi simili. Potrebbe illustrare il risultato dei suoi scavi con un orologio da 24 ore in cui un’ora rappresenta 100.000 anni di tempo realmente passato. Se la storia della razza umana è cominciata a mezzanotte, allora noi ci troveremmo adesso quasi alla fine del nostro primo giorno. Abbiamo vissuto come cacciatori-raccoglitori per quasi tutto quel giorno, da mezzanotte attraverso l’alba, mezzodì, e il tramonto. Infine, alle 23:54, abbiamo adottato l’agricoltura. Mentre la nostra seconda mezzanotte si avvicina, la condizione dei contadini colpiti dalla fame si diffonderà fino ad avvolgerci tutti? O riusciremo in quale modo a conseguire le seducenti benedizioni che ci figuriamo dietro la facciata scintillante dell’agricoltura, e che finora ci sono sfuggite?